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Giorgia Prina

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Laureanda in Lettere moderne a Milano, cerca sempre nuovi modi per viaggiare e per conoscere il mondo. Sogna un futuro con lo zaino in spalla e una penna in mano.

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Secondo dialogo tra capolavori: Mantegna e Carracci a Brera

Arte Rivista – Milano

Dal 16 giugno al 25 settembre la Pinacoteca di Brera ospiterà un nuovo importante dialogo tra due capolavori della storia dell’arte. Infatti dopo il confronto dedicato ai due Sposalizi della Vergine di Raffaello e Perugino (che rimarrà visitabile ancora fino al 27 giugno) saranno visibili per la prima volta insieme Il Cristo morto di Andrea Mantegna, una delle opere simbolo della Pinacoteca milanese, e Il Cristo morto con gli strumenti della passione, versione dello stesso soggetto dipinta nel 1583-1585 da Annibale Carracci, in prestito dalla Staatsgalerie di Stoccarda. All’opera di Mantegna, oltre alla redazione di Carracci, sarà accostato il dipinto Compianto sul Cristo morto, realizzato da Orazio Borgianni nel 1615, in prestito dalla Galleria Spada di Roma.

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Emblema delle conoscenze prospettiche del Mantegna, Il Cristo morto, databile 1480 circa, ebbe una notevole fortuna visiva tra Cinquecento e Seicento, documentata da una serie prestigiosa di derivazioni: prendendo come esempio le altre due opere del dialogo il Carracci si caratterizza per il crudo realismo degli strumenti del martirio (vedi il chiodo ricurvo in primo piano), mentre l’opera del Borgianni assume tinte più caravaggesche.

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Durante la conferenza stampa tenutasi il 13 giugno presso la Pinacoteca di Brera, il direttore della stessa James Bradburne non manca di ricordare il percorso triennale di restauro che coinvolgerà l’intero complesso espositivo: «Quella che stiamo realizzando a Brera è una rivoluzione copernicana in cui al centro del nostro mondo c’è il visitatore e non l’istituzione. La conversazione fra Andrea Mantegna e Annibale Carracci porta avanti un altro aspetto di questa rivoluzione: creare “dialoghi” con i proprio capolavori, senza ricorrere alle grandi mostre autoreferenziali, che cannibalizzano l’attenzione dei visitatori per le collezioni permanenti del museo».

Un dialogo che, dopo il tema maestro-allievo del confronto tra Perugino e Raffaello, ha come fulcro l’identità stessa della Pinacoteca: «L’identità di Brera- continua Bradburne – è inscindibile dal suo passato napoleonico che è l’origine delle sue straordinarie collezioni basate principalmente sul patrimonio proveniente da due regioni italiane: Lombardia e Veneto. Un collegamento che è anche espresso nel rapporto dell’Accademia di Brera con l’Accademia delle Belle Arti di Venezia».

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Raffaello e Perugino: dialogo tra grandi

Dal 17 marzo al 27 giugno 2016 si terrà alla Pinacoteca di Brera un confronto straordinario tra due caposaldi della storia dell’arte: lo Sposalizio della Vergine di Raffaello, una delle opere simbolo della Pinacoteca milanese e lo Sposalizio della Vergine di Perugino, proveniente dal Musée des Beaux-Arts di Cean per la prima volta eccezionalmente fianco a fianco.

“Quando entro in un museo” afferma Filippo del Corno, Assessore alla Cultura del Comune di Milano, durante la conferenza stampa tenutasi la mattinata del 14 marzo “mi piace essere sollecitato a pensare, a creare paralleli, a capire attraverso le differenze e le similitudini. Occorre creare maggiori relazioni e intrecci tra complessi museali per riuscire a creare incontri come questo tra Raffaello e Perugino, un dialogo per entrare in un rapporto con questi due attori”.

La scelta di creare un’esposizione intensiva e non estensiva è detta vincente dalla professoressa Emanuela Daffra, storica dell’arte e direttrice della Fondazione Accademia Carrara di Bergamo, “si punta sulla qualità e sulla profondità dell’osservazione. È sicuramente una mostra da visitare proprio per il modo in cui viene presentata: un dialogo. Il gioco sta nel trovare nelle differenze un punto d’incontro”.

Ma a cosa porterà questo nuovo progetto? “Il dialogo tra i due sposalizi è da inserire in un contesto più ampio” ci chiarisce James M. Bradburne, Direttore Generale della Pinacoteca, “la missione è rimettere Brera nel cuore della città. Quella che stiamo cercando di operare è una sorta di rivoluzione copernicana: rimetteremo al centro dell’attenzione il visitatore. Nel giro di tre anni verranno riallestite poco per volta tutte le sale dell’esposizione permanente della Pinacoteca, questo comporterà nuovi testi di sala, nuove didascalie più articolate, nuova illuminazione e una diversa colorazione delle pareti. Condivido il pensiero dell’ex direttore di Brera Franco Russoli, per il quale il museo debba essere un’arma di cultura attiva e l’arte stessa debba essere un’occupazione per il tempo impegnato”.

Ma lo Sposalizio della Vergine è anche musica: chiude infatti l’incontro l’esecuzione da parte del pianista inglese Clive Britton in onore di Franz Liszt, musicista austriaco che compose La Deuxième Année de Pèlerinage: Italie, dopo il suo viaggio in Italia del 1837 e la dedicò ai capolavori dell’arte e della letteratura italiana. L’ouverture della composizione è ispirata allo Sposalizio della Vergine di Raffaello.

 

Pinacoteca di Brera, Milano

17 Marzo – 27 Giugno

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Libri distillati, i pro e i contro della nuova moda editoriale

Arte Rivista – Milano

«Abbiamo ridotto le pagine, non il piacere»

Con queste parole d’ordine la casa editrice Centauria ha dato vita a una nuova serie di best seller della narrativa italiana e internazionale. La particolarità? Essere riproposti in versione “digest”, distillata. L’obbiettivo è quello di offrire ai lettori la possibilità di godersi le storie più avvincenti in meno della metà delle pagine dell’originale. A dicembre sono usciti in edicola i primi due romanzi di successo, Uomini che odiano le donne di Stieg Larsson, ridotto da 600 a 240 pagine, e Venuto al mondo di Margaret Mazzantini, che da 400 pagine è passato a 200. Nei prossimi mesi la “strizzatura” toccherà anche a opere quali Il Dio del fiume di Wilbur Smith, La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano, Le parole che non ti ho detto di Nicholas Sparks e Il socio di John Grisham.

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«L’idea alla base dei distillati – ci dice Giulio Lattanzi, ideatore e responsabile del progetto – è che esistono oggi molti lettori che pensano di non avere abbastanza tempo da dedicare alla lettura. Abbiamo quindi pensato di offrire loro, ma anche a chi è impegnato in viaggi in treno o in aereo, romanzi di successo ristretti per essere letti nel tempo di un film». Importante è ricordare che non si tratta di riassunti, ma di distillati: «Il processo di riduzione – continua Lattanzi –  è opera di un team editor di esperti, che lavorano sul testo originale per passaggi successivi. Gli autori hanno ovviamente acconsentito all’operazione ma non sono intervenuti nella distillazione».

Come previsto l’iniziativa ha prodotto una serie di reazioni contrastanti, dove le critiche si sono susseguite soprattutto sui social. Sulla pagina Facebook del progetto  non sono mancati i commenti che tacciano l’iniziativa di “anoressia culturale” e di scarso rispetto verso i lettori, “evidentemente poco stimati se occorre addirittura proporre loro un prodotto masticato da altri”. Della stessa idea sono stati anche blogger e redattori indignati, i quali sostengono che un grande libro non debba essere misurato sulla base dello spessore, ma dalla densità emotiva che riesce ad evocare: per loro un libro distillato non può che essere un tradimento dell’autorialità a beneficio di una pura esigenza di mercato. «Non stiamo parlando di microlibri di consultazione, come i Bignami, ma di romanzi mutilati, dimezzati e snaturati», ha detto il giornalista e scrittore Davide Mazzocco su Blogo.

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Ma la situazione è davvero così nera come ce la presenta quest’orda di lettori indignati sul web? Abbiamo chiesto un parere sulla questione a Roberto Cicala, professore di Editoria libraria multimediale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano:

«La proposta in effetti può far storcere il naso – ci dice – ma come ogni prodotto di cucina editoriale conta come sia stato preparato e quale sia il target di riferimento. Tagli in editoria ci sono sempre stati: a partire dagli anni Venti, quando i primi libri della collana dei Gialli Mondadori venivano privati di divagazioni letterarie e approfondimenti psicologici per risultare più popolari, nonostante fossero scritti da autori importanti. Successivamente ci sono state anche altre proposte di riduzioni, soprattutto di articoli o saggi, a cominciare dalla fortunatissima rivista americana (stampata anche in Italia fino a qualche anno fa) “Selezione dal Reader’s Digest”. Il punto, in ogni caso, resta la differenza tra editoria e letteratura: occorre capire che cosa si intende per l’una e per l’altra. Soprattutto però conta il modo con cui si fa l’operazione redazionale: se il taglio, o antologizzazione, o distillazione che dir si voglia, lo facesse l’autore stesso (come è avvenuto per certe riduzioni scolastiche di opere presso Einaudi ), allora l’operazione avrebbe un significato e un valore non del tutto criticabile. Sarebbe quasi una sfida, ma sempre nell’idea di una “riduzione” letteraria. È giusto che l’editoria sia facile, ma ecco dove sta il discrimine: la vera letteratura non deve essere facile ad ogni costo».

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Il segreto di un bravo vignettista? Non prendersi sul serio. Parola di Giovanni Beduschi

Arte Rivista – Milano

Giovanni Beduschi, cartoonist, caricaturista, vignettista, autore satirico e organizzatore di eventi umoristici ci racconta il suo ultimo libro, Il mondo di Gio, Cris e Ricky. Mettendo in scena la propria famiglia l’autore coglie, deforma ed amplia il lato comico presente nella vita di tutti i giorni.

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Come nasce il tuo ultimo lavoro? 

In realtà è nato quasi per gioco. Un giorno in macchina ho sentito alla radio la voce di Don Antonio Mazzi che diceva che in un periodi di difficoltà e di tragedie come quello in cui ci troviamo la cosa che resiste e su cui è ancora possibile contare è la famiglia. Questa idea mi è piaciuta subito e così me la sono segnata e per un po’ non ne ho fatto niente. Poi mi chiama il mio editore per un libro, ma non mi andava di scriverne uno di satira perciò gli ho proposto qualcosa di diverso: un libro in cui la mia famiglia facesse da protagonista e in cui fossero presenti tutti i piccoli e grandi problemi della vita quotidiana presi però sul ridere. Il motto è prendersi in giro.

Quanto è presente l’elemento autobiografico?

Tantissimo! Davvero molto su tutti e tre i personaggi (io, mia moglie e mio figlio). Ad esempio la passione del personaggio Ricky per le iguane è presa tale e quale dalla realtà. Ma ci sono anche altri personaggi, amici e conoscenti, sotto pseudonimi. Ho poi aggiunto e modificato storie che mi sono state raccontate.

Qual è la vignetta de Il mondo di Gio, Cris e Ricky a cui sei più affezionato?

Devo dire che mi piace tutto il libro in sé. Anche se l’immagine, più che scena, che trovo più rappresentativa in assoluto è quella in copertina: rappresenta una famiglia pronta per partire per un viaggio con la valigia, l’ombrellone… insomma, una classica foto di famiglia prima della partenza.

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Parlaci un po’ di te. Com’è nata la tua carriera? 

Ormai sono 30 anni che lavoro come vignettista satirico. Tutto è iniziato quando, al primo anno di asilo, lo psicologo chiamò i miei genitori per sapere se i disegni che portavo fossero davvero miei oppure me li avessero fatti loro. Sciolto l’impasse fu chiaro che presentavo già da piccolissimo un particolare e spiccato talento. E così circa a 13 anni mi si è presentata l’occasione di partecipare ad un campo di approfondimento a Scandici e conoscere Sergio Staino. Nel 1994 la mia carriera di vignettista satirico approda sul giornale Zona Nove. Passo poi a lavorare per altre riviste ormai scomparse come Cuore, Tango e Emme, un inserto dell’Unità.  Senza dimenticare le collaborazione con periodici come il Corriere della Serail Giorno, la NotteL’UnitàCralGazzetta,Dipende, ma anche SmemorandaTFROmnibus. Adesso invece mi occupo di organizzare mostre umoristiche.

A proposito di mostre, sappiamo che sei finito pure negli States..

Anche questa volta è nato tutto per gioco. Avevo creato una serie di caricature di attori legati a film americani e ho girato un po’ per l’Italia con questa mostra. Poi, in occasione dei 90 anni della Metro-Golden-Meyer, mi ha contattato una società dicendomi che voleva avere alcuni miei disegni peri festeggiamenti. Pensavo scherzasse, ma alla fine 12 delle mie tavole sono state esposte a Hollywood.

Dagli Usa alla Francia: qual è stato il tuo coinvolgimento nelle iniziative fiorite dopo l’attacco terroristico del 7 gennaio scorso contro la sede del giornale satirico Charlie Hebdo, a Parigi?

Dopo quel giorno è successo che moltissimi disegnatori hanno iniziato a postare sui social disegni miei e di altri inerenti all’accaduto e così ho pensato di creare un e-book gratuito che raccogliesse tutte queste vignette. Al progetto hanno aderito alcuni disegnatori e amici come Lupo Alberto, Staino e molti altri. La raccolta è uscita parallelamente all’edizione del Corriere della Sera su Charlie Hebdo e vorrei dire che, nonostante tutte le critiche che ne sono scaturite per me è stato comunque un modo per omaggiare le vittime di quel giorno.

Di che cosa ti stai occupando adesso?

Al momento collaboro in una mostra sul gioco d’azzardo promossa dalla Casa del Giovane di Pavia ed è la prima mostra itinerante contro il gioco d’azzardo. Il progetto si chiama “AZZARDO: non chiamiamolo gioco” ed è a disposizione gratuitamente di Istituti Scolastici e Comuni che vorranno richiederla. Al momento si trova in una scuola di Foggia. In realtà è stata presentata anche a Bruxelles, davanti ai deputati europei attenti al tema.

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BRANDALISM, l’arte smaschera i potenti

Arte Rivista – Parigi

Immaginate di trovarvi a Parigi. Uscite di casa e vi sedete sotto la pensilina della fermata dell’autobus aspettando di andare al lavoro, a scuola, a fare la spesa. Come ogni giorno osservate il cartellone pubblicitario che occhieggia alla vostra sinistra. Una bella hostess dell’Air France vi guarda ammiccando. Nulla di strano, ma qualcosa non torna:

«Contrastare il cambiamento climatico? Certo che no, siamo una compagnia aerea»

è lo spiazzante messaggio che campeggia sotto la foto. Spiazzante non solo per l’accostamento di una grossa multinazionale a uno slogan antiambientalista, ma anche perché la Parigi nella quale vi trovate è quella del Cop21, che si è concluso lo scorso 11 dicembre.

 

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Sono più di 600 i cartelloni che dal 29 novembre scorso sono apparsi in tutta la città denunciando l’ingerenza delle multinazionali sui negoziati sul clima aperti il 30 novembre e conclusisi pochi giorni fa. L’opera di affissione è stata davvero notevole se si pensa che è avvenuta nella totale illegalità in una città in pieno stato d’urgenza.  In pochi giorni, ad opera di anonimi personaggi in pettorina arancione, sono stati posizionati negli spazi pubblicitari appartenenti alla JCDecaux, una delle più grandi imprese pubblicitarie e sponsor ufficiale dei negoziati del Cop21.

 

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Ma da dove viene tutto questo?

I cartelloni sono opera di artisti tutt’altro che anonimi membri del progetto anti-pubblicitario Brandalism, nato nel Regno Unito nel 2012. Gli autori, street artist provenienti da tutto il mondo, sono 82, di cui anche 4 italiani: BR1, Fra Biancoshock, Millo e Opiemme. Uniscono le loro abilità per un’azione di subvertising e partono dalla «democratica convinzione che la strada è un luogo di comunicazione, che appartiene ai cittadini e alle comunità che ci vivono. Gli interventi sono “una ribellione contro l’assalto visuale dei giganti mediatici e i magnati pubblicitari che esercitano una stretta mortale sui messaggi trasmessi nei nostri spazi pubblici”, per citare il loro sito, dove per altro appare l’irriverente dicitura di “unofficial partner” sotto il logo del Cop21.

 

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Oltre alla già citata Air France sono state prese di mira la Mobil, la Volkswagen e la Total e anche alcuni politici come Barack ObamaFrançois Hollande, David Cameron e Angela Merkel. Rappresentativa l’immagina di Shinzo Abe pensieroso e dalla cui testa spuntano nere ciminiere. Presenti anche rappresentazioni inquietanti della situazione climatica attuale: l’Alice di Lewis Carroll con una maschera antigas o l’invito a godere del cambiamento climatico in un pianeta preda di inondazioni e catastrofi naturali.

 

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«Noi riprendiamo possesso degli spazi pubblicitari – afferma uno degli artisti sul sito dell’organizzazione– perché vogliamo denunciare il ruolo che la pubblicità gioca nel promuovere un consumismo insostenibile. L’industria pubblicitaria alimenta il nostro desiderio per i prodotti che pesano sulla disponibilità di energie fossili e che hanno un impatto diretto sul cambiamento climatico. Sono le stesse che sponsorizzano i negoziati climatici e gli eventi ad essi  paralleli».

 

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La fine dei cartelloni? «Probabilmente– ci dice 2501, street artist italiano che fa parte di Brandalism-  sono stati tolti dalla stessa compagnia pubblicitaria al momento del cambio prestabilito anche perché essendo davvero tantissimi e distribuiti in tutto lo spazio cittadino sarebbero stati difficili da controllare ed eliminare in breve tempo».