26 gennaio 2016

Le origini del negazionismo – Giorno della Memoria

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Ogni 27 gennaio ricorre il Giorno della Memoria e proprio in questa data, durante il 1945, le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento e sterminio di Auschwitz, ma quello che trovarono andava ben oltre l’umana immaginazione: una spietata macchina di morte e sterminio di massa ideata dall’uomo.

La Shoah è stata una delle pagine più terribili della storia umana, così come il genocidio degli Armeni, quello dei Tutsi, o il massacro dei musulmani bosniaci durante la guerra in Bosnia ed Erzegoniva.

Sono tutti eventi tra i più importanti della storia recente, che ha segnato intere generazioni e il senso stesso di un intero secolo e che hanno contribuito a definire la nostra stessa identità come persone, come popoli o come nazioni.

La Shoah è accaduta e il mondo ha dovuto elaborare ed ancora elabora l’accaduto, eppure c’è chi nega che essa sia mai esistita.

Chi nega viene definito “negazionista”.

Ma cos’è il negazionismo?

Il negazionismo, secondo il professor Joerg Luther dell’Università degli studi di Torino, è «un fenomeno culturale, politico e giuridico non nuovo», che «si manifesta in comportamenti e discorsi che hanno in comune la negazione, almeno parziale, della verità di fatti storici percepiti dai più come fatti di massima ingiustizia e pertanto oggetto di processi di elaborazione scientifica e/o giudiziaria di responsabilità».

Il negazionismo quindi non è un’invenzione moderna: Jean-Baptiste Pérès già nel 1827 scrisse un pamphlet in cui negava addirittura l’esistenza dell’imperatore francese, dicendo che era solo una figura allegorica!

Gli individui che negano l’esistenza dell’Olocausto appartengono a un gruppo molto ristretto che, nonostante le innumerevoli testimonianze e i documenti storici, nega la veridicità di tali prove, affermando che si tratti materiale truccato e definiscono la Shoah come la «menzogna olocaustica».

Per capire qual è il senso originale di questa negazione basti pensare a chi per primo negò lo sterminio sistematico di ebrei, rom, sinti, omosessuali, portatori di handicap, malati di mente e molti altri: Maurice Bardèche. Fu un critico d’arte e giornalista francese, che si dichiarò assolutamente fascista.

Ma perché proprio lui? Perché proprio in Francia?

Dal 1945 in poi lo sterminio degli ebrei è vissuto come uno degli eventi più drammatici della storia contemporanea ed entra a far parte della memoria della coscienza comune: i regimi che ne erano stati la causa subirono un’irrevocabile condanna da parte del mondo.

In Francia, paese in cui una parte della popolazione aderì convinta al Regime di Vichy, la necessità di rielaborare la sconfitta portò i fascisti rimasti a rileggere gli eventi appena trascorsi in modo differente, per riabilitare la propria immagine agli occhi della comunità nazionale e internazionale.

I collaborazionisti e i neonazisti si erano però resi conto che era impossibile ormai sostenere le proprie posizioni, così, per renderle un po’ più accettabili, attenuarono o addirittura rimossero la colpa dell’Olocausto, ovvero il peccato supremo e lo sbaglio più grave.

Il legame tra Germania nazista, regimi fascisti collaborazionisti e sterminio era una colpa evidente, quindi l’unico modo per evitare un’eterna condanna morale era di dichiarare che la Shoah era una macchinazione degli alleati e non era mai accaduta.

In questo contesto si inserisce l’operato di Bardèche, che fu arrestato per collaborazionismo, come il cognato Robert Brasillach, noto collaborazionista fucilato nel 1945.

Bardèche fu il primo in assoluto a contestare l’esistenza delle camere a gas. In generale le varie testimonianze provenienti dai lager per Bardèche non sono attendibili, poiché influenzate dall’orientamento antitedesco di chi le formulava, inoltre i nazisti non avevano mai pianificato né realizzato lo sterminio degli ebrei e di altre minoranze: semmai l’intento era di spostarli ad Oriente, liberando dalla loro presenza l’Europa occidentale.

Risulta evidente che Bardèche esamina la storia con uno sguardo viziato dalla sua ideologia, un’ideologia che non solo impone a priori una certa selezione delle fonti, ma anche una selezione dei fatti da interpretare e la negazione di altri: l’ideologia agisce a priori e distoglie lo sguardo di Bardèche dagli eventi storici ritenuti scomodi.

Lo storico invece opera su tutt’altro piano: raccoglie dati, accetta la pluralità delle fonti ed esamina i vari elementi in maniera scientifica, scevra da preconcetti, cercando di fornire un interpretazione sul come e il perché un evento sia avvenuto, senza che l’esistenza di qualcosa sia condizionato dal proprio credo.

I negazionisti danno un primato assoluto all’ideologia, tanto che la storia viene riletta in modo distorto pur di assecondarla.

Perché Bardèche ed pochi altri hanno avuto il bisogno di nel tempo di negare l’evidenza? Per estrema necessità, perché solo attraverso la negazione della Shoah potevano sperare di continuare a fare politica, in qualche modo.

Il loro tentativo di nascondere la storia ricorda un po’ i bambini che guardano fisso il sole e provano con la mano a nascondere la sua luce, infastiditi: potranno essi stessi non restare abbagliati da quella verità, ma ogni cosa e ogni persona resta illuminata intorno a loro.

Un piccola cerchia di persone, che per un utile politico continua a cercare di nascondere un’incredibile evidenza, meriterebbe la nostra attenzione?

Sembrerebbe di no perché i negazionisti sono uno sparuto gruppo di persone nel mondo Occidentale, ma negli ultimi anni le loro tesi stanno facendo grande presa nel mondo dell’estremismo islamista, perché sono usate per minare le fondamenta dello stato d’Israele, nemico della Palestina: addirittura Mahmud Ahmadinezhād, che è stato Presidente della Repubblica islamica dell’Iran fino all’agosto 2013, ha istituzionalizzato il negazionismo, facendosi promotore egli stesso dell’unica verità, ovvero che l’olocausto non esiste.

Il motivo politico per cui adesso si nega l’Olocausto in medio oriente non è più legato a una restaurazione del nazismo ovviamente, ma una lotta contro il “sionismo”, contro gli ebrei che avrebbero architettato tutto per sfruttare a loro vantaggio il senso di colpa dell’Occidente dopo la Seconda Guerra Mondiale: solo con la «menzogna olocaustica» potevano ottenere uno stato tutto loro.

Sono passati molti anni, eppure l’ideologia riesce ancora a condizionare a priori la visione del mondo di certe persone, a influenzare la capacità di distinguere ciò che è reale e di ciò che non lo è: ormai è evidente che non ha senso lasciare all’ideologia il diritto di scegliere cosa può far parte della storia e cosa no.

Oggi più che mai è importante ricordare il 27 gennaio, perché questa Memoria definisce la società in cui viviamo e definisce anche noi, perché chi vuole rimuovere dall’esistenza un evento del genere cerca di privarci anche di qualcosa che ci appartiene intimamente: la memoria di un passato che non dovrà mai più ripetersi.

Articolo scritto da:
Alessio Scalzo

Alessio Scalzo

Cresciuto ad Agrigento, milanese dal 2009. Laureando in Lettere Moderne, esperto di editoria, dal 2015 attraverso Arte Rivista muove i suoi primi sicuri passi nel mondo dell'arte.
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